domenica 20 dicembre 2015

Non c'era o se c'era dormiva?

Nel 1933, il Parlamento degli Stati Uniti d’America promulgava una legge il cui nome è forse noto anche tra coloro che non si occupano di materia bancaria e finanziaria: il Glass-Steagall Act (https://en.wikipedia.org/wiki/Glass%E2%80%93Steagall_Legislation).
Questa disposizione, suggerita ai legislatori americani dalle crisi bancarie degli anni precedenti, stabiliva che si dovesse operare una netta distinzione tra gli istituti dediti alle attività creditizie tradizionali (sinteticamente e semplicisticamente: raccolta del risparmio e concessione di credito alle imprese e alle famiglie) e quelli specializzati nell’assistenza finanziaria alle aziende e alle istituzioni pubbliche e nell’assunzione di quote di capitale e di debito.
Tecnicamente si parla di separazione tra attività di banca commerciale e di banca d’investimento.
Analogamente, in Italia nel 1936 veniva promulgata la cosiddetta Legge Bancaria che, oltre ad assegnare un nuovo e più rilevante ruolo alla Banca d’Italia (di fatto trasformata in istituzione pubblica a tutti gli effetti) operava una distinzione analoga a quella del Glass-Steagall Act e confermava il ruolo dello Stato nell’attività bancaria tradizionale tramite l’IRI (http://www.treccani.it/enciclopedia/iri/), già proprietario dal 1933 di Banca Commerciale Italiana e Credito Italiano, salvate dal fallimento e avviate a diventare, con il Banco di Roma, le BIN (banche d’interesse nazionale), nucleo centrale del sistema italiano, nel quale l’attività di banca d’investimento era di fatto molto limitata ed esercitata quasi esclusivamente da un altro ente pubblico, l’IMI (http://www.treccani.it/enciclopedia/ricerca/IMI/), cui, nel secondo dopoguerra, si aggiunse Mediobanca.
Anche altrove il sistema bancario era stato regolamentato con criteri simili, trovando nelle crisi di molti istituti dopo il 1929 le motivazioni per una rigida regolamentazione delle attività delle aziende di credito.
All’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, quasi contemporaneamente, più per la pressione proveniente dal mercato che per convinzione supportata da analisi a livello accademico, i provvedimenti appena descritti furono in tutto o in parte abrogati, sostituiti da nuove norme che, tra l’altro, sancivano la fine della separazione tra i due mondi bancari affermatasi negli anni Trenta.
In quanto precede, se mai non fosse chiaro, non ho espresso alcun giudizio, ma ho voluto ricordare due momenti fondamentali nella storia dei sistemi bancari di quasi tutti i principali paesi prima che, nel 2007, si scatenasse la crisi finanziaria provocata dall’emissione di titoli obbligazionari garantiti da mutui ipotecari di pessima qualità, che ha portato alla bancarotta, effettiva o decisa politicamente, innumerevoli istituti di credito in varie parti del pianeta (i casi più noti sono quelli di Bear, Stearns & Co. e di Lehman Brothers).
La crisi finanziaria, e qui esprimo un giudizio, si è verificata anche perché le istituzioni preposte al controllo delle banche non avevano ancora messo a punto le adeguate regole di vigilanza, consentendo così, in maniera diversa nelle diverse realtà nazionali, che si creassero o si aggravassero situazioni di gestione azzardata.
Non credo di sbagliare se dico che, almeno in parte, le difficoltà degli istituti di credito italiani di cui si parla in questi giorni (molto differenti tra loro per natura e dimensioni, lo ricordo a scanso di equivoci) sono conseguenze di una vigilanza incerta e, forse, anche attenuata dall’atteggiamento della politica, alla quale certe situazioni erano tutt’altro che sgradite.
La politica, che ora si straccia le vesti e tenta di accreditarsi come paladina dei risparmiatori, è la stessa politica che in varia misura e sotto varie forme ha esercitato un influenza determinante nella gestione di molte banche, in particolare le popolari e quelle di credito cooperativo. 
Sarebbe bene che non ci dimenticassimo di questo quando parliamo delle vicende di Banca Etruria o di Veneto Banca, giusto per fare due nomi. E che non lo facesse neppure il Presidente del consiglio quando discute in sede europea, perché se è vero che la Germania ha molti armadi pieni di scheletri, noi non possiamo dire di non averne nessuno. Non dimentico che Renzi è alla guida del governo da poco meno di due anni, quindi la sua responsabilità è parziale, tuttavia delle banche si è occupato soltanto quando il vaso era scoperchiato, prima se n’è disinteressato, o interessato altrimenti.
Vi suggerisco due letture sul tema. La prima, dal Corriere della Sera di oggi, è l’editoriale di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi: http://www.corriere.it/economia/15_dicembre_20/banche-scorciatoie-illusioni-59993ea4-a6e7-11e5-9876-dad24a906df5.shtml.
Buona stampa. Dalla quale si capisce che c’è stata e c’è ancora parecchia confusione sulle cose da fare nel nostro paese per impedire che si ripetano situazioni come quelle che hanno tanto spazio nelle pagine dei giornali in queste settimane.
La seconda proposta è un articolo di Alessandro Merli da Il Sole 24 Ore di ieri, che aiuta a capire il comportamento della Signora Merkel e che sottolinea come la strategia seguita dai governi italiani si sia rivelata inefficace: http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2015-12-19/berlino-alza-muro-risparmio-104805.shtml?uuid=AC6eFfwB&fromSearch.
Buona stampa. C’è, dunque, molto da lavoro da fare. E non è una novità. Renzi, quindi, oltrepassa il limite del ridicolo proclamando oggi che nelle banche ci sono troppe poltrone (http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2015-12-20/renzi-italia-guarita-ora-e-tutto-nostre-mani-151609.shtml?uuid=ACMXH5wB). Erano troppe anche due o tre anni fa. E anche cinque o sei anni fa, quando lui si occupava già, e parecchio, di politica.
Avrei voluto parlare della morte di Licio Gelli, argomento che ho già trascurato nei giorni scorsi, ma forse ci sarà occasione nei prossimi giorni. Per oggi ho abusato anche troppo del vostro tempo.
Per combattere i nostri nemici, possiamo contare su alcuni straordinari personaggi del rock e del blues: Buddy Guy, Eric Clapton, Johnny Winter e altri. Il brano è un grande classico: Sweet Home Chicago.


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